Sopravvivenza drogata o estrema unzione? Gli Stati cercano di salvare il capitalismo attraverso la creazione di credito. Rischi ed effetti collaterali devono essere messi nel conto.
Il fondo non si è ancora toccato: secondo rapporti recenti, il disavanzo del bilancio greco potrebbe essere persino superiore a quello previsto – e quello di Atene non è il solo. Alla fine dello scorso anno, il neo-eletto governo greco ha dovuto ammettere che i dati precedenti erano stati manipolati. Con il -12,7 per cento annuo del prodotto interno lordo la perdita è doppia rispetto a quella dichiarata dal deposto governo conservatore a Bruxelles. Il debito totale del paese è ora pari al 125 per cento del PIL annuo. Le agenzie di rating hanno risposto alla truffa finanziaria con il declassamento del merito di credito del paese. Martedì la Commissione UE ha detto che il deficit del bilancio greco potrebbe essere ancora maggiore “di quanto inizialmente previsto”. L’ufficio statistico di Atene lavorerebbe “in modo inefficace” e sarebbe “vulnerabile alle interferenze politiche”.
Record del debito
Mai prima nella storia del capitalismo gli Stati si sono indebitati in misura così grande in un periodo così breve di tempo come quello trascorso dallo scoppio della crisi economica mondiale del 2007. Nella UE, Spagna, Gran Bretagna e Irlanda hanno un deficit altrettanto grande quanto quello dei greci. Il debito degli Stati Uniti è enorme. La Germania sembra quasi solida, ma il governo federale, le regioni e i comuni nei primi tre trimestri del 2009 hanno fatto nuovi prestiti per un valore di quasi 100 miliardi di euro, aumentando il deficit di sei volte rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
Le cause di questa crescita del debito sono molto simili ovunque, almeno nei centri del sistema capitalistico mondiale. La recessione ha portato alla riduzione del gettito fiscale, mentre l’azione frenetica fatta per stabilizzare il settore finanziario e i programmi congiunturali di risanamento ha determinato una esplosione le spese. Solo negli Stati Uniti è stato registrata nell’ottobre-novembre 2009 una riduzione del gettito fiscale di quasi 300 miliardi di dollari. Il deficit del precedente esercizio finanziario 2008/2009 è stato pari a circa 1400 miliardi di dollari – e fino ad ora il debito record del paese era stato di circa 400 miliardi.
I programmi congiunturali, stimati dal Kiel Institute for World Economics (IFW) pari a poco più di 3000 miliardi di dollari (circa il 4,7 per cento del reddito mondiale), hanno almeno temporaneamente impedito un declino economico. La domanda statale creata ha però ha determinato nuove passività di pari importo. Il risultato è la necessità di programmi ancora più grandi di salvataggio e di supporto per i mercati finanziari. Solo negli Stati Uniti hanno un volume di 23.700 miliardi di dollari. Una volta che scoppia questa nuova bolla, scadranno gran parte di queste garanzie per il settore finanziario, includendo la bancarotta dello Stato. Anche il governo tedesco ha pagato un costo di euro 480 miliardi per dar vita a un “sistema di salvataggio” in forma di garanzie statali per il settore finanziario nazionale.
Alla periferia dell’Europa si possono già vedere alcune economie di fronte ad un fallimento imminente: Ucraina, Lettonia, Ungheria, Romania, Serbia e Bielorussia sono state per ora salvate dal Fondo monetario internazionale (FMI), dalla Banca Mondiale e dalla Commissione europea che con miliardi di dollari di prestito d’emergenza le hanno protette dalla minaccia di insolvenza. Ma come mostra la Grecia, la crisi sta procedendo rapidamente.
Fallimento degli Stati.
Adesso stanno tremando anche paesi che sono membri della UE da decenni. Così la Spagna, che ha subito una retrocessione in termini di affidabilità creditizia. Secondo l’economista americano Kenneth Rogoff anche la superstabile Austria è in una situazione preoccupante, indicando che la Repubblica delle Alpi potrebbero essere in pericolo di fallimento. Le banche locali avevano effettuato pesanti prestiti in Europa orientale, e questo denaro sarà rimborsato solo parzialmente nel prossimo futuro, o non rimborsato del tutto. Con un ulteriore peggioramento della crisi sarebbe perciò Vienna a dover fare da garante. Anche il Giappone sembra ormai dover soffocare sotto il suo gigantesco debito. Il debito della seconda economia più grande del mondo raggiungerà quest’anno il 227 per cento del PIL, di cui i primi creditori sono i propri cittadini. Nel frattempo, il tasso di risparmio della popolazione è sceso dal 14 per cento del PIL nel 1990 ad appena il due per cento. La possibilità che ci sia ancora qualcuno disposto a prestare soldi allo Stato è sempre più remota.
Allo stesso tempo, nuovi programmi economici congiunturali internazionali sono necessari. L’attuale livello raggiunto di recupero non è stato “sufficiente”, osservava l’Istituto tedesco per la politica macroeconomica e per la ricerca sulle tendenze economiche ai primi di gennaio. Anche nel più alto organo della U. S. Federal Reserve durante la sua ultima riunione a dicembre sono state articolate richieste di ulteriori misure correttive per l’economia degli Stati Uniti.
Ciò chiarifica anche le cause dell’orgia di debito pubblico. Gli Stati si sono infilati nel ruolo dei mercati finanziari e in quello dei consumatori statunitensi, nel frattempo diventati alquanto parsimoniosi. Questi avevano alimentato a lungo la domanda tramite il credito. Ora si cerca di alimentare il boom sulla base del credito con i soldi dei contribuenti. Così si mantiene per ora una economia globale sofferente da decenni di una crisi sistemica di sovrapproduzione. Senza indebitamento il capitalismo semplicemente non può funzionare. Che possa restare nell’attuale situazione però è tutto da vedere, dal momento che la Grecia è ovunque.
Krisis
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